LA SOLITUDINE DEI NUMERI "ZERO" (2012)


La disabilità è un termine di cui si fa ampio uso e abuso, ma che l’uomo della strada ignora o quasi. Infatti solo chi vive il problema è in grado di comprendere le differenti tematiche che contribuiscono ad individuarlo come tale. Tra queste c’è una questione tutt’altro che facile, l’emarginazione delle persone con disabilità, colpite due volte, la prima dalla loro condizione dovuta ad incidenti o patologie, la seconda dalla società, che tollera e addirittura spesso incoraggia quella che con amara ironia citazionistica si può definire la “solitudine dei numeri zero”.  Numeri zero perché nel nostro Paese ai disabili non viene assegnato nessun valore, ed è proprio da questa scarsa considerazione sociale che deriva una solitudine antica, vera e propria condanna silenziosa, ancor più grave perché colpisce degli innocenti.  Così si esprime sulla questione qui sollevata Angelo Lo Verme, di Canicattì (Agrigento) giornalista e blogger, collaboratore di diversi siti e portali d’informazione:  Disabilità e solitudine: due termini che spesso si trasformano in sinonimi, in una società a misura e quasi territorio della “normalità”.” Società dove la “diversità”, di qualsiasi genere essa sia (razziale, religiosa, per inclinazione sessuale, disabilità, ecc.), più o meno inconsciamente è percepita dal cosiddetto “normale”, anche simultaneamente, con due opposti sentimenti: paura e presunta superiorità e/o commiserazione.” Ma a cosa dobbiamo tutto ciò? “La risposta è semplice: sono dati di distorta psicologia umana maturata in una società civile che per millenni ha privilegiato l’esteriorità a discapito dell’interiorità, l’avere piuttosto che l’essere, il materialismo a tutto svantaggio della spiritualità, proprio perché il primo è più facile e immediato, ed è perciò divenuto un’inclinazione per la maggioranza degli individui.” Dello stesso tenore le osservazioni di Enza Iozzia, di Pontenure (Piacenza) operatrice socio-sanitaria che si occupa anche di disabilità, giornalista, scrittrice ed esperta di critica letteraria: “L’essere umano da sempre ha temuto non solo il diverso, ma soprattutto ciò che non riesce a spiegarsi immediatamente. Anche se autori come S. Freud, D. Winnicott e tanti altri hanno sapientemente tentato di illustrarne le motivazioni psicologiche, sociologiche e evoluzionistiche, il principale motivo di ogni forma di discriminazione resta sempre l’ignoranza. L’emarginazione è una condizione che scaturisce dall’analfabetismo psico-sociale, pertanto attraverso un costante impegno da parte di tutti noi, le cose possono sicuramente migliorare. Io, per il futuro, sono piuttosto ottimista, perché lavorando nelle scuole e con la diversità, appuro quotidianamente che i bambini non sono mai prevenuti  verso nessuna forma di disabilità; infatti, sono sempre gli adulti che, attraverso i loro cattivo esempio dettato dal pregiudizio, li condizionano negativamente. Quindi il fatto stesso che le nuove generazioni si mostrino sensibili e disponibili, mi fa ben sperare per il futuro, anche se devo ammettere  che la strada da percorrere è ancora lunga e tortuosa.” Più critica la posizione di Angelo Lo Verme, che in merito alla diversità della persona disabile aggiunge “ la Società di oggi si muove, di solito, lungo il piano dell’esteriorità. Perciò tenta, e nemmeno riuscendoci sempre efficacemente, di abbattere le cosiddette barriere architettoniche (pietoso eufemismo o artificio estetico), lasciando quasi intatte quelle psicologiche. Oggi un disabile può non sentirsi solo se riesce a superare tutte o quasi le barriere architettoniche; ma quando deve “misurarsi” o “competere” socialmente con i “normali” non può farlo alla pari. Piuttosto è costretto a farlo in un contrapposto e spesso simultaneo rapporto di inferiorità e/o pietà ravvisabili negli occhi e in tutti quei segni non verbali del suo interlocutore “normale”. In tal caso penso che un disperato sentimento di solitudine non possa non assalirlo. Credo che la migliore forma di rispetto che si possa riservare a un disabile per farlo sentire realmente integrato e accettato, è trattarlo normalmente, alla pari.” L’aspetto più sorprendente della questione “disabilità” è che in un Paese di tradizione cristiana come l’Italia si faccia fatica ad ottenere una completa integrazione del diverso. “Non credo affatto che la tradizione cristiana del nostro Paese sia in contrapposizione con la insufficiente integrazione che oggi hanno le “persone diverse” – dichiara Enza Iozzia.  “Anzi, sostengo che la contraddizione è molto spesso proprio figlia della rigidità. Una condizione che sfortunatamente accompagna tutte le religioni e quella Cristiana, purtroppo, non fa eccezione. Poi, personalmente, non mi piace il concetto con cui la Cristianità concepisce il disabile. Il diversamente abile, non è un “poverino” che va aiutato in quanto sfortunato, ma è una persona come qualunque altra. Egli non cerca l’elemosina emozionale o l’accettazione da parte di una comunità in quanto persona disagiata, ma desidera essere considerato, amato e anche odiato, a patto che viva la propria esistenza con la medesima dignità, che si dovrebbe attribuire sempre e qualunque essere umano.” Sul punto interviene anche Angelo Lo Verme, che in merito sembra avere idee molto chiare e illuminanti: “il messaggio cristiano di Gesù Cristo è senza dubbio di amore e quindi di accoglienza nella comunità, senza alcuna distinzione. Che siano i primi o gli “ultimi” della scala sociale, non dovrebbe avere importanza. Le religioni organizzate però tendono a distorcere il messaggio originario dei profeti che le hanno ispirate, per fini non sempre immediatamente chiari e definiti, ma che non sembrano sempre e comunque quelli dell’accoglienza e dell’amore universale. La pervicace secolarità di molte religioni fa pensare a tutto ciò.” Da quanto dichiarato dai nostri opinionisti, sembra che i tempi non siano ancora maturi per accogliere la persona con disabilità o chi è etichettato come diverso: “Studi recenti hanno dimostrato che dopo aver subito un’amputazione a causa di un incidente o per motivi di caccia “il Neanderthaliano invalido” continuava a vivere!” Sostiene la dott.ssa Iozzia. Che aggiunge: “Questo era reso possibile solo dal fatto che, altre persone della comunità, si occupavano di lui. Mi dispiace dover ammettere che gli uomini primitivi, in campo della diversità, hanno mostrato una civiltà talvolta più evoluta della nostra. ma bisogna anche aggiungere che negli ultimi trenta anni le cose sono molto migliorate e questo mi fa ben sperare per il prossimo futuro.” Tuttavia si è ancora lontani anni-luce dal riconoscere il  diritto ad amare  della persona con disabilità? Un diritto che non può per intima natura essere garantito dallo Stato o dalle leggi, ma da un’evoluzione della società mirante ad andare oltre i pregiudizi e la cosiddetta civiltà dell’immagine. “Ciò che per sua natura non può essere garantito dallo Stato e dalle leggi, può solo essere “permesso” – sentenzia Angelo Lo Verme –  “da una società affrancata dal culto dell’immagine e da tutti i pregiudizi da esso derivanti. Certo, anche la famiglia in siffatta società viene lasciata da sola a gestire il problema della disabilità, se non si creano, per cominciare, servizi mirati e infrastrutture sociali e architettoniche idonee e sufficienti. Per quanto riguarda la trasformazione del culto dell’immagine in quello dell’essere, dell’autenticità, dell’interiorità, l’impresa è già molto più ardua, ma se non si comincia…” In materia di pari opportunità è molto interessante anche la conclusione di Enza Iozzia, impreziosita da una citazione estremamente significativa e pregnante: ““Il fardello di una persona con disabilità può essere alleviato ponendo sempre  il prossimo in condizione di dare il meglio ma senza mai chiedergli l’impossibile! A tale proposito vorrei citare una Massima di Antimo Pappadia, che, naturalmente, vale per tutte le categorie di abilità: “se mettiamo gli altri in condizioni di non esprimersi, questi saranno sempre ridimensionati, se invece diamo loro la possibilità di essere se stessi, lo saranno sempre e in ogni circostanza, mentre ancora se forniamo loro le condizioni congeniali affinché possano dare il meglio, allora ci sbalordiranno, perché supereranno se stessi”. Con buona pace di chi, ancora nel 2012, non si è ancora reso conto che i disabili sono una risorsa e non una palla al piede, una forza e non una debolezza, dei valori aggiunti e non dei numeri zero!

Di Domenico Turco – Tutti i diritti riservati @

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